venerdì 5 agosto 2016

A febbraio Di Battista ha chiesto 1142 € di rimborso vitto.
La Camera è normalmente aperta dal martedì al giovedì,
quindi a febbraio è stata aperta 12 giorni.
Di Battista ha normalmente una presenza alla Camera del 60%. Con questa media, a Febbraio dovrebbe aver lavorato 7-8 giorni, mettiamo pure 10.
Conclusione: Di Battista ha speso mediamente per vitto più di 100 € al giorno.
Ma un panino ogni tanto, no?


lunedì 10 agosto 2015

Il Dio dell'ateo


Giancarlo Vietri





IL DIO DELL'ATEO



73 NOTE IN PROSA E VERSI
SULL'ESISTENZA O INESISTENZA DI DIO
E SU MOLTO ALTRO







  
              Meglio un fuoco fatuo
                                              che l'assenza completa di luce
                                                                                    Emily Dickinson




1

Prezioso è il bene della religiosità, anche agli occhi di un ateo. Non la devozione di comodo, ma la consapevolezza del mistero.


2

IL SENSO DEL NON SENSO
-       Cosa pensa dell'ateismo?
-       Che sarebbe un non senso, se i non sensi avessero posto tra noi.
-       Crede allora nell'esistenza di Dio?
-       Qualunque cosa abbia un nome, esiste…
-       Che intende dire?
-       Che la parola è la forma dell'esperienza, o anche che il linguaggio è la sede della coscienza. 
-       In altri termini, tutto ciò che viene detto racchiude una realtà effettiva…
-       Sì, Dio come qualunque altra cosa di cui si parli, compreso il suo contrario.
-       Non capisco. Si riferisce ad un'esistenza concreta o a un prodotto della mente?
-       Quello che la mente concepisce come esistenza concreta ha sempre un brano di concretezza, o per lo meno è l'unica entità di cui abbiamo cognizione. Che poi l'idea dell'uno diverga da quella dell'altro e che alle varie idee corrispondano entità disuguali o non sempre coincidenti, è un altro discorso. Ciò a cui io do un nome non ha necessariamente un significato per lei, men che meno lo stesso significato, è tuttavia un tassello del mondo quale io me lo raffiguro. È anche vero che, nel dare un nome alle cose, prendo a prestito il linguaggio di tutti, e con ciò anche significati che non mi appartengono; succede allora che attraverso la parola io neghi in parte la mia conoscenza: la sacrifico, ne immolo una fetta sull'altare della collettività. Anche al Dio di cui parlo si aggiungono aspetti che sfuggono al mio controllo. Ma un concetto è come un cappello sotto cui non puoi non trovare una testa.
-       Il linguaggio diventa così la culla della verità. Non è la teoria di Heidegger sulla parola come "casa dell'essere"?
-       Heidegger era un mistico e il suo misticismo si riflette in una terminologia di stampo spirituale; ad ogni modo sì, la mia convinzione è che la parola sia la "casa dell'essere". Solo che l'essere in questo caso ha i contorni dell'individualità, coi suoi scorci razionali, emotivi, sensibili… è una dimensione personale, non un'unità sovraordinata, anche se interagisce con le nicchie degli altri, così che alla fine ciascuno è la casa del suo proprio essere. L'essere è un dato soggettivo, sia pure condivisibile.
-       Tornando a Dio…
-       Tornando a Dio, Dio esiste per buona parte di noi. Non si sa bene cosa sia, ma è comunque qualcosa, se viene chiamato per nome. E chi non lo chiama così, lo chiamerà in altro modo.
-       O non lo chiama affatto.
-       O non lo chiama affatto, perché esula dalle sue percezioni o scorre in fondo alla coscienza senza prendere forma e suono.
-       Esiste allora anche il diavolo, se trova posto nel linguaggio!
-       Certo che sì. Esiste per chi lo teme o lo invoca. È il nome del male o comunque di una negatività che la nostra epoca tutta volta al positivo ha lasciato cadere in disgrazia. Per qualcuno il diavolo ha ancora tratti medievali, agita il forcone e puzza di zolfo, ma per i più è ormai una specie di macchietta, una creatura fantastica buona per le barzellette, simile alla Befana e a Babbo Natale. Perché ciò che esiste in un tempo non è detto che esista per sempre.
-       In questo modo non ci sono verità stabili. Tutto è in movimento, tutto è precario.
-       La precarietà è un concetto relativo, perché è relativo il concetto di stabilità: stabile non è ciò che dura in eterno, ma ciò che ha una notevole durata. E comunque effettivamente è così: la verità non è un dato immutabile; cambia da individuo a individuo, da epoca a epoca, da cultura a cultura. Questo vale per Dio, per il diavolo e per qualunque altra cosa sia generata dalla nostra mente.


3

Non si può ignorare ciò che preme ai confini della coscienza. Tutto quello che turba l'intelletto adombrando un'incognita deve assumere una fisionomia e un nome. Da questo punto di vista siamo simili a ogni altra creatura: persino nella mente di un insetto, tutto quello che importa ha una forma definita.

4

Meglio chiamare "Dio" il bisbiglio confuso in cui si perde la coscienza, piuttosto che non chiamarlo affatto.
Si adombra così una latitudine della quale, armati solo di ragione, non sospetteremmo neppure l'esistenza.


5

Sotto i suoi tanti volti, cangianti con i tempi, i luoghi e le persone, Dio è l'estensione del sé, insinuazione nel tutto, un'espansione che penetra l'universo, dilatazione infinita che si consuma non solo sotto l'egida della religione, ma anche nelle pieghe della poesia e di qualunque altra arte, prassi o disciplina ci permetta di guardare alla nostra esistenza come a un frammento dell'universo, trasmettendoci il senso della nostra eternità insieme a quello della nostra finitezza.
L'estensione del sé che si insinua nel tutto è la divinizzazione della realtà alla portata di ciascuno.


6

Nella tensione che ci proietta verso l'infinito, Dio è la nostra immagine liberata dalle pastoie dell'io, che si irradia nel tempo e nello spazio. Ed è un'eco che ritorna, la traduzione cosmica dell'amore, di quell'amore senza condizioni e senza limiti, che, permeandoci, ci rende unici e, ritraendosi, ci abbandona al turbine del mondo. 


7

La verità si nasconde sotto gli abiti più vari, quelli del Figlio dell'Uomo, ma anche quelli del Budda, di una qualunque trimurti e del mio stesso ateismo.


8

Il fatto che i nomi delle cose nascano dall'esperienza, quasi fossero l'impronta lasciata su di noi da ciò che ci circonda, ci affratella: quando un cristiano parla di Dio, il suo pensiero non corre solo a un vecchio col barbone, assiso su un trono di luce tra una colomba e un giovane profeta, ma anche ad altezze e grandezze incommensurabili, a palpitazioni e smarrimenti, a sguardi che si perdono oltre l'orizzonte e a destini che si incrociano, a forze che ci governano, troppo più grandi di noi per ridurle alla tabellina di tutti i giorni, ed in definitiva a una faccia del mondo che io stesso ho avuto la ventura di incontrare, salvo ad averla chiamata in modo diverso.


9

La teologia cristiana, a dispetto delle sue sofisticate argomentazioni, non è meno ingenua di una credenza tribale. Nemmeno però più arbitraria, né di questa né di tutto il resto.


10

"Prendete e mangiate, questo è il mio corpo", dice il profeta spezzando il pane. "Prendete e bevete, questo è il mio sangue", dice ancora alzando il calice. E la dottrina elaborata nella sua memoria insegna come cibarsi del pane e dissetarsi col vino della cena, se fatto indegnamente, sia un oltraggio alla sua carne e al suo sangue martoriato.
Gesù è un sogno lontano dai miei sogni, come una divinità dell'Olimpo o un feticcio africano. È un mito prigioniero della sua leggenda, per me che non credo alla favola cristiana. Il corpo e il sangue immolati per la salvezza sono però l'emblema di un amore che tutto concede e tutto assume su di sé. E, nell'idea del pasto indegno che lo offende, c'è l'orrore della contaminazione, anche a me così familiare.


11

Quando, per raccontare l'ineffabile, lo abbassiamo alla nostra portata, soffocandone lo splendore, sacrificandolo in parte, perché la sua grandezza non ci travolga, e lo riduciamo a un barlume d'emozione, a una pallida intuizione, siamo forse diversi da Gedeone, che temette di morire davanti alla luce di Dio, per non poterne sostenere lo sguardo, finché Dio non lo tranquillizzò, spiegando d'essergli apparso "nella sua realtà rivolta all'uomo, non nella sua realtà in sé"?
Lo sgomento di Gedeone e le rassicurazioni del suo Dio ricordano come la mente umana abbia bisogno di limiti e non sopporti l'interezza.


12

Parlare con Dio? Perché dovrei ridere dei silenziosi colloqui tenuti giorno dopo giorno con un'Entità fantasiosa? Imprechiamo contro un motore che non s'avvia e nei momenti di rabbia prendiamo a calci le sedie, come fossero le nostre più acerrime nemiche. Il più incallito dei materialisti non si vergognerebbe di farlo. Dialoghiamo continuamente con frotte di spiriti naturali del cui passaggio non nutriamo il minimo dubbio. Tra di loro nessuno come Dio ha sollevato tante dispute intorno alla realtà della sua esistenza.


13

Tratti ambigui di totem ci scrutano ad ogni angolo di strada, ed è curioso quanto poco ci accorgiamo del loro influsso. Ci lasciamo abbagliare nelle scelte giornaliere da miti d'ogni tipo, agglomerati d'abitudini, venerazioni indiscusse, esaltazioni irrefrenabili e timori reconditi, senza batter ciglio; ma siamo pronti a condannare la goffa onnipotenza dei miti degli altri.
Questi agenti nascosti sono divinità minori, frammenti di realtà elevati all'assoluto e in questo senso sono anch'essi una dimensione del divino.


14

FEDE IN DIO
Non saprei dire se nel grande mondo
c'è per davvero chi non crede in Dio.
No, non il totem che pretende omaggi
al centro dei villaggi o nelle chiese
chi il Dovere invece o l'Altruismo
e per altri il Progresso o la Ragione.
Chi l'entusiasmo per la propria sorte
chi il senso di infinita piccolezza.
Forse rimedio al nostro sfacimento:
il sé che spazia a espandersi nel tutto.
Non saprei dire se nel grande mondo
c'è per davvero chi non crede in Dio.

   
15

Nel demonio si incarna l'animo depredato, spogliato dell'amore, colpito da una cecità che si ripercuote in un ringhio rabbioso. È questo il male: la conseguenza di una privazione, una via collaterale imboccata dal bene quando il cammino è ostruito.
Ma la figura orripilante del demonio ha anche un compito benefico: rinforza l'idea che la sciagura derivi dalla colpa, una panacea, se è vera, come è vera, la difficoltà di ammettere il tracollo senza il concorso del peccato. Il peccato giustifica i rovesci della sorte e li consola: ritenersi causa della propria disgrazia è assai più facile che riconoscersi vittime degli altri o del caso, fattori che sfuggono al nostro controllo.
La colpa è in fondo un residuo di onnipotenza, un relitto dell'illusione di esercitare sul mondo un dominio incontrastato.
Che sia il demonio a gestire l'espiazione del male, nel fragore sinistro della sua corte disastrata, è ad ogni modo singolare. Lui, l'Anticristo, cui è stata negata la visione di Amore per un vizio di superbia, proprio lui, si accanisce sui poveretti che, affollandosi sulle vie dell'amore in maniera maldestra, si sono smarriti in mille deviazioni inconcludenti lungo le strade del mondo! Si allea con Colui che lo ha bandito dai cieli dove tutto è grazioso, per precipitarlo nel regno dell'orrore; si mette al servizio del suo Antagonista per adempiere in nome Suo al compito di rendere indigesta l'eternità alle anime dannate! Anziché stringere con loro un patto solidale!
E d'altra parte è una scelta obbligata. Non è ammissibile infatti che i tormenti siano inflitti dal Padre Celeste, dal benemerito Figliolo, dalla Madre di Lui o dalle schiere raggianti di angeli e santi, con le loro attitudini di esseri pietosi. Gli spiriti positivi gozzoviglino dunque liberamente nel loro tripudio, lasciando a quelli degli abissi l'affanno impuro di somministrare castighi. Dio non si sporca le mani!


16

Due mosche parlarono di Dio.
"Zzzzzzz - zz - zzz", fece la prima.
"Zzz - zzzz - zz - zzzz", ribatté la seconda.
Alla fine furono d'accordo, e certe di essere nel vero.


17

Qual è la molla che ci spinge sulle tracce di Dio, fuori della capziosità dei catechismi? Quale il nucleo dell'esperienza religiosa? Un sentimento che salda la nostra evanescenza alla imperturbabile immanenza del Tutto. È questa l'essenza della religiosità: il superamento dello steccato individuale, che permette la confluenza nel Tutto, una latitudine cosmologica che fa parte del cuore e che dobbiamo riscoprire per superare l'idea della morte e il sapore della solitudine.
Poco importa se, oltre la nicchia dell'io, ci attende il Dio tradizionale o il ruminare immenso delle leggi della fisica che macinano le nostre cellule per riavvolgerle nel plasma universale. Conta solo che nella coscienza possa vibrare la corda capace di congiungere la fragile sfoglia della nostra esistenza con l'infinito. 


18

Dio è una stanza dell'anima, quella nella quale la nota personale si accorda alla vibrazione cosmica. Senza questa sintonia, la vita precipita in un'incommensurabile desolazione. Ogni incontro e solidarietà con gli altri avvengono in fondo sotto lo sguardo di Dio, che ci spinge a varcare la soglia individuale: persino l'atto sessuale, che degrada altrimenti a un'incursione clandestina.

19

Tarocchi e fondi del caffè, Dianetica e unguenti portentosi, la terapia degli schiaffi e quella del turpiloquio, contemplazione e ascesi, impacchi di argilla e cura del sonno o l'ineccepibile sistema di guardare fisso un quadro attaccato alla parete per mezz'ora filata. Ogni divinazione, fede o pratica miracolosa, da quella dell'incantatore di turno fino ai decaloghi delle massime religioni, vanta ottimi risultati, palingenesi definitive o viatici alle felicità quotidiane, sempre offrendo una chiave di volta, una salvezza che schiude tutte le porte o almeno le principali. L'esercito di santi, veggenti e guaritori si snoda attraverso i secoli, ognuno con la soluzione in tasca, che gli altri ignorano.
Se posso da un lato compiacermi di non prender parte a tante ingenue imprese, dall'altro potrei recriminare di non saper salire sul loro carrozzone, mescolandomi ai miti sempiterni o a quelli in voga, imbarcandomi su rozzi zatteroni che bene o male permettono la traversata. Non fosse che il mio zatterone io ce l'ho: quello dal quale contemplo divertito le bizzarre evoluzioni della fantasia umana.


20

Il mio nuovo vicino studia teologia. Non mi ispira particolare simpatia: ha una faccia troppo pulita e il candore di chi crede nell'infallibilità di un teorema, una fiducia vicina al fanatismo. Ha però la capacità di rimettere il suo destino nelle mani di un'entità esterna, e considero questa una fortuna, rispetto a chi è minato da un'eterna diffidenza.


21

Credo nell'esistenza di Dio. Un Dio inteso come un principio superiore, inventato da noi, che ci distoglie dal nostro orizzonte mortale garantendo alla farina delle nostre molecole di esalare in una nuvola cosmica.
Dio è un metabolismo soggettivo come il dolore o la sessualità, una modanatura della psiche che ci riguarda tutti, oggettivamente.


22

Dio è una dimensione dell'io.
23

Due figure alte come colossi. Dal vertice delle tonache spuntano due testoline da paguro. Possibile ci siano ancora di questi personaggi, creature uscite di fresco da credenze misteriche e ritualità tribali?
È possibile, e non c'è da meravigliarsi: di superstizione sono piene le vie, oggi come mille anni fa.
Ogni cosa ci appare diversa da come è. Il mondo intero si propone alla nostra comprensione attraverso filtri speciali che ne deformano i contorni e rendono vivo ciò che è inanimato vestendolo di luci benigne o maligne, tingendolo di buona e di cattiva sorte. I tram che sferragliano chiassosi, le vetrine scintillanti, le poltrone alle quali affidiamo la nostra spossatezza, i mobili che ci rassicurano con parvenze familiari, tutto parla alla nostra anima ed esercita su di noi poteri straordinari, non meno dei crocefissi e delle eucarestie.
Anche un ateo vive di sortilegi. Gli oggetti si imbevono delle nostre attese e delle nostre emozioni e ce le restituiscono come immagini riflesse. Il nostro spirito permea di sé le chiese e gli stadi, le sacrestie non meno che i laboratori di ricerca.

24

CHIERICI
Con le mani di scimmia
sotto gli abiti grigi
che presumono un'altra dignità.


25

Qualunque credo ha un fondamento di verità, anche quello nella reincarnazione delle anime, per quanto nessuno abbia mai potuto verificare una trasmigrazione di sostanza spirituale da un corpo all'altro. Tra le pieghe di questa fede si annida l'idea della continuità della natura umana attraverso le ere, un condizione che il teorema contrario, quello di una vita che perennemente si rinnova, nella sua tensione razionale non riesce a cogliere.
Il fatto è che i giudizi di vero e di falso si fermano alla superficie delle cose, incuranti di altri significati. Più o meno a questo doveva alludere Goethe quando affermava che "Non bisogna credere a tutto, ma non bisogna mancare di credere che tutto abbia un motivo".

26

Cristianesimo e metempsicosi, o addirittura la lettura dei tarocchi, che svela nelle sue combinazioni una trama nascosta di destini dietro il velo dei fatti casuali. Interminabili processioni di oracoli sulla strada delle verità ultime. Gli itinerari attraverso cui ogni fede perlustra l'invisibile sono i riflessi di un sogno comune, ed è in questo la loro autenticità. Dio non è solo una sorta di bottegaio che dispensa miracoli in cambio di offerte, è anche la fonte segreta e inaccessibile di una realtà quotidiana inspiegabile senza di lui, e come tale bussa ad ogni porta.
Le tante dottrine che indagano l'ignoto si azzuffano tra loro non sapendo di equivalersi.
Cristo e Osiride sono tutt'uno, come tutt'uno sono gli innumerevoli simboli attorno a cui si raccolgono lo smarrimento e le certezze dell'uomo.


27

OMAR
(rassegna imperfetta degli attributi della divinità)
Leva il tridente
bestia smisurata
Omar!
che il polline dei giorni
mesci e rovesci nel braccio di clessidra
impugna la saetta
scuotendo il vello immenso di caprone
e intriga
questo avanzare infimo di cose
con accenti di padre
e di padrone.
Laceri l'orizzonte
la Tua Grazia molesta.
Tu rimpinguato dai nostri terrori
pasci
Unicorno dorato
questo gregge allo sbando
somma
nella tempesta irosa della barba
ogni nostro dolore.


28

Non credo in Dio, ma neppure nell'ateismo dalle formule esatte che nega il margine oltre il quale la mente precipita nel vuoto. Credo che tutto sia simbolo di qualcos'altro. Il pensiero costruisce ponti sull'ignoto, tanto più fragili quanto più pretendono di essere definitivi e di esaurire il pozzo della conoscenza. 
Si è più prossimi all'essenza delle cose se si rinuncia a pronunciarle e ci si contenta di vaghe risonanze. Perché le parole con cui evochiamo la Verità sono tocchi di pennello che danno all'indicibile una visibilità approssimativa; quando, affermando di sapere ciò che non sanno, non diventano semplici contraffazioni.


29

La preghiera è un dialogo con se stessi. Senza il pensiero che si alza verso il cielo e il miraggio di Dio che lo risveglia, non è facile dare voce all'anima.


30

È anche un serrato confronto con l'oscura minaccia che ci contorna, la preghiera, come il rito primitivo del selvaggio che getta grani in un braciere: un incantesimo che mira ad addomesticare gli eventi, sottraendoli all'arbitrio del caso. Neppure così considerata, tuttavia, merita la spocchia degli spiriti illuminati, perché il vezzo di contrapporre prodigi ai colpi del destino è più comune di quanto non si creda, anche senza lo schermo di una religione.
Ogni uomo ha in effetti il suo amuleto, persino le nature razionali, che delle fredde architetture della mente tendono a fare un talismano, tanto più quanto più la rinuncia al soprannaturale mette a repentaglio il loro controllo sul mondo.


31

Tollero i feticci degli altri perché so di quelli miei.
Le verità in cui si crede sono il riverbero di noi stessi, della nostra esperienza e delle nostre emozioni, e ciò riduce la loro cornice razionale a un tentativo velleitario, a un fatto marginale e intercambiabile. Neppure la mia verità sfugge a questo inganno, salvo che non rinnega la sua origine magmatica e non apre la coda di pavone di una razionalità incontaminata.


32

Il Dio venerato nelle chiese è un'immagine dell'uomo, ripulita degli aspetti disdicevoli e agghindata con quelli che appaiono degni di lode.


33

È documentatissimo Rudolf Augstein nel suo Jesus Menschensohn (Gesù figlio dell'uomo). La storia di Cristo (meglio sarebbe dire la leggenda) tramandata dalla Chiesa di Roma è tessuta di favole, spesso così evidenti da lasciare sconcertati. C'è da chiedersi come sia mai stato possibile che milioni di persone le abbiano prese sul serio per un paio di millenni, ammassandovi intorno cattedrali e gerarchie, Papi, devozioni e curiosi rituali.
Eppure questo non rende la preghiera del cristiano meno fertile dell'esercizio yoga, della consultazione dei Ching o della meditazione buddista: le vie dell'anima sono innumerevoli, e praticabili con identici risultati.


34

Chi non ha altra vista sull'infinito, vi si affaccia attraverso una divinità che la tradizione offre su un vassoio, già pronta all'uso, cercando di ravvisare l'assoluto in una forma familiare, in un nome e in una storia già scritti. Ed è come quando l'intelligenza, incapace di sondare mete inusitate, si adatta a risolvere cruciverba, con i loro enigmi scontati.


35

Sono religioso. Quindi ateo. Cerco la voce di Dio, non la sua parvenza.


36

Dio è cambiato. Una volta era un vecchio altero che scagliava fulmini e saette, causa prima di fatti che col tempo hanno trovato spiegazione nelle scienze naturali.
La domanda non è quindi se Dio esista, ma cosa esista oggi sotto il nome di Dio.


37

Dio esiste. È un fatto biologico che poco o nulla può contro il dolore e la morte. Un giorno se ne conosceranno la formula chimica e le intersezioni molecolari.


38

Interrogarsi sull'esistenza di Dio vale quanto chiedersi, alla maniera di Platone, se esista quello che abbiamo veduto, udito o annusato, anche se Dio non è un albero, un suono o un profumo, ma un'entità che a priori collochiamo in una sfera inaccessibile ai sensi e a cui approdiamo solo per supposizione.
La domanda infatti resta pur sempre quella se abbiamo calcolato bene cosa vi sia oltre il limite della nostra persona o se non siamo caduti in errore. 
Ed è vero che il dubbio qui verte sull'attendibilità di una congettura e non di una percezione, ma le stesse percezioni si sviluppano in congetture, perché nulla di ciò a cui diamo un nome, nel gioco di simboli che ci è caro, nei riverberi di specchi tra cui ci muoviamo, è come è a prescindere da noi. Persino il vento ed ogni fenomeno naturale, nell'immagine che ce ne facciamo, è da questo punto di vista un artificio. Qualunque idea, viceversa, per astratta che sembri, è il riflesso di un'esperienza, manipolata nelle catene dei neuroni, anch'essa una mezza illusione dunque. E allora porsi la questione se Dio esista o se esistano la vita ultraterrena o la metempsicosi, gli spettri e i fauni dei boschi, non è molto diverso dal domandarsi se siano reali le stelle e l'arcobaleno. Il problema non è se queste cose abbiano o meno una consistenza fuori del nostro io, ma cosa abbia impresso la loro forma su di noi. 


39

Dio non ha creato l'umanità, ma è un suo attributo. Se si fosse tutti d'accordo su questo punto, verrebbe meno la smania di supremazia tra quelli che, ponendo Dio fuori della storia, pretendono ciascuno di aver trovato il bandolo della matassa che riconduce a lui.


40

Da ogni parte ci si appella alla verità, in una fantasmagoria di richiami di profeti, predicatori e santi, schiamazzi di un'autentica babele. Ognuno ha la sua ricetta e offre su un piatto d'argento le chiavi del cielo. Ma le mille soluzioni accese come lanterne a illuminare la nostra notte parlano di un'identica meraviglia. Ci si scaglia contro anatemi in nome di una investitura inesistente.


41

Alzando il naso verso il cielo, affondando lo sguardo nel buio, avvertiamo il respiro del cosmo, che pulsa dentro di noi. Non sappiamo di preciso cosa sia quella profondità inaudita, né cosa venga dopo o cosa l'abbia preceduta, cosa la circondi e a cosa miri, e se abbia senso raffigurarsi precedenze e successioni e scopi ultimi. In ciò consiste Dio: in una dimensione incomprensibile, vasta quanto il dubbio. E nella nostra appartenenza a questo spazio.


42

"E per voi son Dio
che esiste, si dice, soltanto
nell'atto di chi lo prega"

scrive Caproni con una formula esemplare.
Dio esiste solo nell'atto di chi lo prega. È in effetti così.


43

Il Dio cristiano sferza l'invidia, castiga la gelosia, condanna i favori scambiati per un fine abietto, maledice la menzogna, la prepotenza e il calcolo.
Lo fa perché non sa dietro il volto del male quanta infelicità si nasconda.


44

Miopia di Dio: nella mano che coglieva il frutto seppe vedere solo la disubbidienza, non la sofferenza di un desiderio inappagato.


45

Sono miscredente con pena e misericordia. Pena per chi teme il castigo divino e misericordia per le sue colpe. Perdona a te stesso, vorrei dirgli, comprendi le tue ragioni. E non disfartene, se non hai di che rimpiazzarle. Il peccato nasce dalla privazione, quando non è solamente negli occhi di chi ti giudica; compiendolo ne hai già pagato il prezzo: perciò non hai bisogno della sferza.
Questo direi, perché so della sofferenza che c'era dietro il male che ho commesso.


46

DIO INAMOROSO
Dio impietoso
che schianti per l'eterno
e sventurato un angelo borioso
costringi ad una acredine animale
e gli chiudi le porte
o Tu Dio iroso
dimentiche di Te giri nel fuoco
le anime fra tutte più dolenti
già sotto il sole
quando svuotate
vissero nel vuoto
Dio inamoroso.


47

DIRITTO D'ASILO
Prendi nota allora
Dio degli abissi
di questa oscura larva che protesta
la sua innocenza di bitume e orgoglio.
La tua scia imperversa: gloria
nelle bocche dei santi
pacificati in te.
Io testimonio solo l'indelebile assenza
il gesto impoverito della mano
l'ardua scienza dei rami
che al cielo si rialzano insecchiti.


48

Il male, nei recessi insondabili dell'io, è la rottura di un sistema di regole, la cui osservanza è condizione essenziale per essere accolti nella casa di tutti.
È sempre e solo l'occhio di Dio a registrare la trasgressione nel taccuino delle colpe, anche quando ci si considera immuni da influssi religiosi: Dio inteso come vincolo essenziale tra noi e gli altri, che sancisce la nostra appartenenza a un ordine più alto della nostra persona, strappandoci a un'individualità deperibile e perciò impossibile da sostenere.
Questa misura suprema è un'entità tiranna, ma nello stesso tempo offre protezione, o quanto meno la sua benevolenza ci evita di essere messi al bando.
L'offesa a Dio è un atto protervo di autonomia, che ci rende soli.


49

Povero Dio, ridotto a giudicare il bene e il male, l'estemporaneità delle condotte umane che non significano nulla oltre l'orizzonte dell'uomo.


50

Nel giorno del Giudizio, quando Dio alzerà il dito per annichilirmi, gli dirò di smetterla con le semplificazioni. Gli spiegherò che il male è un frutto della terra e non ha valore se sollevato verso il cielo. È ciò che gli uomini cercano di  scongiurare lungo le tappe della loro storia e nei diversi angoli del mondo: lo vedo dal cagnolino che tutti scacciano perché mette in pericolo i sacchetti della spazzatura e urina sulle porte. La sua colpa è di mettere a repentaglio l'ordine comune: non fosse per il comodo altrui, sarebbe del tutto innocente.
Dio insisterà che il male è anche la rottura di un'armonia interiore e io gli darò ragione. Obietterò però che allora è prima di tutto sofferenza, che di tutto ha bisogno, meno che di una punizione.


51

La scienza moltiplica gli embrioni umani nella chimica di una provetta: da uno ne ottiene tre. E a qualcuno saltano i conti: all'atto del concepimento, Dio consegna al nascituro un'anima, e una sola; i cloni restano dunque senza? O riuscirà alla scienza il miracolo di replicare con la sostanza fisica anche quella spirituale? Perché, se così non fosse e se per giunta tra gli individui originali e i duplicati non si dovesse notare la differenza, crollerebbero millenarie certezze.


52

La navicella spaziale americana è arrivata su Marte. Sull'onda dell'entusiasmo, si fa un gran parlare di forme di vita possibili sparse per l'universo, del contributo dell'acqua alla genesi cellulare e della morfologia delle creature cresciute in ambienti gassosi.
Piccata da queste novità, la Chiesa scopre tra le ceneri delle Verità rivelate la cimice del dubbio. Se ci fossero focolai di vita intelligente nelle gole delle galassie, come la metteremmo col peccato originale? Gli alieni, a differenza nostra, hanno la coscienza immacolata? E Dio li alleva allora nei rispettivi Eden dove conducono in eterno esistenze beate o saranno stati banditi anche loro, piombati per un destino comune nelle spire tentacolari di un qualche demonio planetario? E quanti Cristi si saranno dovuti inviare negli angoli più remoti del cosmo per emendare gli innumerevoli scampoli di umanità traviata, le infinite specie cadute lungo le vie stellari nelle trappole del Maligno?
A simili dilemmi si sarebbe del resto destinati anche indipendentemente dalle peripezie astrali, se mai si giungesse a riconoscere il baluginare di un'anima negli animali, creature magari perspicaci ma dalle qualità spirituali ancora incerte. Tra i caimani e le tigri -ci si dovrebbe chiedere- mai nessun Adamo e mai nessuna Eva hanno tradito le consegne del Creatore? I macachi e i somari sono dunque migliori di noi? E, se lo sono, perché annaspano come noi nel regno della necessità e della morte?
Forse un Papa dovrà presto ridisegnare le mappe bibliche della redenzione e del peccato.


53

Volentieri mi convincerei che l'anima sopravvive al corpo, ma mi accorgo che purtroppo basta assai meno della morte perché si inceppi. È sufficiente un neurone fuori uso, un grappolo di cellule cerebrali che si degrada, e già l'anima impallidisce, non ritrova i luoghi e le persone, si scioglie dalla memoria e langue, dimostrando la sua precarietà. Se poi l'anima non è qualcosa che osserva e che ricorda, che prova emozioni e che si esprime, sarà il caso di spiegare cos'è, rivedendo l'idea di quel che di noi scampa al disfacimento.


54

Indubbiamente non siamo ancora in grado di enunciare la formula biologica dell'anima, che riporti con incontestabilità  scientifica i processi mentali a precise reazioni chimiche, campi elettrici e impulsi nervosi; possiamo ben dire però cosa resta dell'anima dopo la nostra consunzione: non la memoria, non la parola, non purtroppo gli affetti né il pensiero, non tutto quello che il semplice guasto di un capillare basta a disorientare per sempre.


55

Il nuovo parroco non manca di entusiasmo. Infervorato fino all'estasi, si lancia in una rivisitazione dei Vangeli. Pare che le epoche passate abbiano dato di Maria un'immagine troppo mite e rinunciataria. A spulciare bene nei sacri testi ci si accorge invece che era una giovinetta intraprendente…
Non si rende conto, il parroco, di vedere semplicemente quel che i tempi attuali vogliono si veda in una figura cara all'immaginario popolare e proprio perciò capace di cambiar pelle al bisogno. Dunque insiste. Sottolinea come Maria si sia data di testa sua al Signore, disobbedendo alla tradizione locale, che le avrebbe imposto di rimettersi al giudizio del capo famiglia. Sembra insomma che davanti a Dio, il quale si fosse presentato a chiederla in moglie, una ragazzetta di Giudea meno sicura del fatto suo avrebbe domandato il permesso a papà…


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La Chiesa riabilita gli animali e, se proprio non riconosce loro un'anima, li associa all'uomo nella corte dei viventi, là dove le diverse specie, dal moscerino a noi, persino può darsi i vegetali, levano canti all'Altissimo.
Rabbrividirebbe il Cardinale De Rohau, ambasciatore francese nella Vienna del XVIII secolo, che, pavoneggiandosi davanti a un seguito di signore, tutte ombrellini e pizzi, abbatté in un sol giorno 130 capi di selvaggina.
Ah, la Chiesa! Capace di adattare ai tempi con la massima disinvoltura il suo chissà se imperscrutabile ma certo flessibilissimo Dio.


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Sua Santità ha condannato senza appello gli omosessuali e i loro tentativi di metter su famiglia, imitazione indegna e sconsacrata di una famiglia "normale".
È che la Chiesa pretende di conoscere i disegni di Dio meglio di Dio stesso, e mentre il Creatore ha popolato la terra di un'umanità policroma, comprendendovi anche gli individui attratti dal loro stesso sesso, la morale cattolica decreta l'ostracismo di questa genia. Dio non discrimina tra i suoi figli e ha accolto nell'ordine naturale il solito e l'insolito, senza preclusioni. La Chiesa invece confonde ciò che è abituale con ciò che è giusto, e organizza le sue crociate di conseguenza.


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San Tommaso D'Aquino deduceva l'esistenza della perfezione, cioè di Dio, dall'evidenza dell'imperfezione, che si distribuisce in misura decrescente dal basso in alto lungo una scala di cui non può mancare -sosteneva- l'ultimo gradino, quello nel quale ogni insufficienza è superata. Allo stesso modo, il logorio inevitabile delle cose gli suggeriva l'idea che non potesse mancare un Essere libero dal deperimento. Camminando a ritroso, risaliva insomma da ciò che vedeva a ciò che supponeva. Ed in realtà non dimostrava affatto che il perfetto e il perenne esistessero, ma solo che non poteva fare a meno di figurarseli. Il guaio è che i fili della logica si arrotolano nelle nostre menti, senza mai uscire da quel perimetro. Capita così che nella gabbia del pensiero si scambi la nostra voce per quella di Dio.


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Sul palco dell'Eliseo, Sandro Gindro  assume un tono tra il profetico e il moralista, mentre ammonisce che la vita sarebbe vuota senza un fondamento. E si intuisce che pensa a un fondamento sovrannaturale, perché la conversazione inclina decisamente da quel lato. A me dell'anticlericalismo giovanile è rimasta l'abitudine a drizzare il pelo quando sento squillare la tromba della fede in Dio. Posso fare concessioni per un Dio che di Dio non abbia nulla, altro che una vaga assonanza con la totalità, ma il Dio di Gindro sembra avere una stretta parentela con quello tradizionale. "Io posso dire che sono passati due minuti -si accalora Gindro- ma, nel momento in cui lo dico, si è già aggiunta un'altra frazione di tempo; qualunque cosa o concetto vi proviate a fermare, scoprirete di essere sempre un passo indietro; tutto ciò che il nostro essere conosce è inesorabilmente finito, finito, finito". Questo renderebbe povera la conoscenza, che può raggiungere la compiutezza solo ammettendo un'entità in grado di sfuggire alle definizioni.
Ma le reti vuote della conoscenza, incapaci di afferrare la realtà per intero, restano tali anche se tese a imprigionare una verità sopra le righe. E del resto è solo l'intelletto, quando armeggia col suo metro esclusivo, che non riesce a misurare il tempo o a stabilire a che punto è il tramonto del sole o un litigio tra innamorati, a infilare insomma il divenire in una botte bucata, che si svuota in un attimo. La semplice esistenza ci riesce benissimo e ci riesce anche l'intelletto, quando si adegua al pulsare delle vene senza ghirigori. La conoscenza che è sempre un passo indietro alle sue prede, buona a stringere in pugno soltanto ciò che è ormai esaurito, è quella che si pretende un gradino più su dell'immanenza. Ma anche l'emozione, la vista ed il respiro sono fonti di conoscenza, e lo è la stessa intelligenza quando entra nelle cose, imbevendole delle sue relazioni e modellandosi a sua volta su di loro, come avviene saltuariamente nell'esperienza quotidiana e sempre nelle creazioni inesauribili dell'arte; e lungo questi tragitti non si registrano ritardi del pensiero. La vita ha tutto ciò che occorre per allinearsi al presente, solo la mente isolata nel giudizio arranca. Heidegger si è dannato l'anima per decifrare l'inafferrabilità del tutto e Dilthey per conciliare esistenza e conoscenza, ma tanti affanni si spiegano con l'angoscia che si prova davanti all'incompletezza della ragione, a quel bicchiere che non è mai pieno. Nascono lì gli spasmi della filosofia. Per alzare un bicchiere colmo fino all'orlo, basta metterla da parte la filosofia e saltare in groppa alla vita, fiduciosi di ciò che apprendono il corpo e la mente, rappacificati in un nesso unico.  


60

Un prete non è diverso dagli altri: può dedicarsi a comunioni e santi col senso pratico di un laico a caccia di amicizie fruttuose, o può svolgere il suo ministero con l'offerta di sé che altrove si chiama passione. 


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 "La sua metafisica…", si usa dire dei filosofi. Difficile rendersi conto di cosa concretamente sia una metafisica, se si è convinti che nulla, nemmeno una filosofia, possa eludere la gabbia della fisica.
Ma quando io penso alla catena delle generazioni che si allunga nello sgocciolio dei secoli, e questa visione mi abbaglia trasmettendomi un senso particolare della vita, e della morte, non cado forse in braccio alla metafisica? Cos'è infatti una metafisica se non un insieme di miraggi che danno sapore alla realtà e la circondano di un determinato alone suggerendo l'idea di quel che siamo e di quello a cui siamo destinati?
Questi fasci di luce, alti sulle nostre teste, traversano anch'essi l'universo fisico, hanno però di speciale il fatto di appartenere solo a chi li ha in mente, salvo a potersi riflettere in più persone e a formare a volte lo spirito del tempo.
Sono le muse dei poeti e le finestre da cui ognuno si affaccia, le concezioni del mondo. Questo e non altro sono le metafisiche. 


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Negli esseri viventi stupisce la coscienza, cioè la cognizione che un organismo composto di materia acquisisce di sé e dell'altra materia circostante.
Questo è il mistero per il quale molti sono stati indotti a supporre che nell'uomo (chissà perché poi solo nell'uomo) si annidi una sostanza diversa da quella corporea.
Ma forse lo stupore deriva solamente dall'idea sbagliata che si ha della materia, come di un aggregato inerte.


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La Patristica monda Dio da ogni possibile difetto, per farne una somma di virtù, o quanto meno di quelle che a suo modo di vedere sono tali. Di questo passo, di Dio può non restare nulla. Non c'è infatti una sola qualità che non sia anche una limitazione e non si traduca quindi in zavorra per un Essere perfetto.


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Secondo Tommaso d'Aquino, la fede supera le capacità della ragione, ma, poiché l'una e l'altra provengono da Dio, non possono portare a risultati divergenti. Sempre che la ragione righi dritto, procedendo lungo le strade considerate come valide a priori.
Davanti a tanta ingenuità, si può sorridere. Intese in modo più flessibile, le convinzioni di Tommaso ci ricordano però come una ragione avulsa dal ritmo del sangue e dai barlumi dell'emozione ci allontani da noi, e come solo una razionalità che assecondi le verità del cuore possa essere fonte di autentiche certezze.
Le conquiste dell'intelletto e quelle dell'anima non si congiungeranno insomma in una sfera sovrannaturale, ma in quella naturale è bene che procedano appaiate. 


65

Cosa c'era prima della creazione? Come i bambini, anche i filosofi fanno domande immaginifiche e si danno immaginifiche risposte. Per Guitton, prima della creazione c'era la "simmetria perfetta".
La "simmetria perfetta" è per lui come per i Padri della Chiesa l'antitesi di ciò che è. O meglio di ciò che diviene. Tutto quello che ha un volto, un tempo, una storia, sa di limite e di imperfezione. È imperfetta la materia, imperfetta la dimensione, la figura circoscritta, quel che si realizza e non può essere diverso da così. Perfetto è il resto, Dio, ciò che non diviene. Ciò -si potrebbe dire con malizia- che non è.


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La stessa fiducia che Tommaso d'Aquino riponeva nella ragione, Guitton la riversa nella scienza, che, a suo dire, non solo non allontanerebbe dal divino, ma ne attesterebbe l'esistenza. La scienza rivelerebbe infatti i capillari di infinite leggi sotto la cute della natura, ricostruendo la rete di un ordine esemplare, l'equivalente di un'intelligenza, a dimostrazione di come sia questa a regnare sull'universo e non il caso.
La prima cosa che viene da pensare è che Dio non sarebbe granché come interlocutore, se si riducesse a una semplice geometria, risultando in questa veste quanto meno poco adatto a riscuotere omaggi e preghiere.
La seconda obiezione è che l'arte inimitabile del Principio regolatore, quello che fa girare il cosmo, è tale unicamente per tautologia. La traiettoria perfetta del creato è infatti solo la traccia che il mondo lascia dietro di sé; se il percorso fosse stato diverso, sarebbe parso altrettanto illuminato. La forza di gravità che tira i corpi verso il basso può apparire come il frutto di una volontà che si impone al caso; ma, se avesse risucchiato i corpi verso l'alto, avremmo potuto scorgervi comunque l'impronta di un disegno divino.
Meravigliarsi che tutto fili in armonia centrando i suoi obiettivi è come sbalordirsi di aver fatto un passo da qui a là e non un po' più a destra o un po' più avanti o come restare a bocca aperta davanti alle premure con cui la natura consente a tante specie animali di sopravvivere, dimenticando la disgrazia di quelle che la selezione spazza via.
Guitton paragona l'esattezza con cui l'universo esegue i suoi esercizi a quella che dovrebbe avere sulla terra un giocatore di golf per spedire una pallina in una buchetta su Marte, e ne deduce l'altissima probabilità se non la certezza che un essere superiore abbia sistemato le cose in modo che il miracolo si compia. Ma, se la pallina fosse schizzata su Venere, ugualmente ci sarebbe stato qualcuno pronto a giurare che dovesse finire proprio lì e a chiedersi quindi come ciò sia potuto avvenire.
Le rondini, in definitiva, non hanno artigli forti per tenersi sui cavi elettrici, come suppone Guitton, ma si tengono sui cavi elettrici perché hanno artigli forti. Le leggi esistono, ma non sono provvidenziali. Avrebbero potuto essere altre e, soprattutto, non potrebbero mancare, perché un mondo senza leggi semplicemente non è: le cose devono essere in un "certo" modo, ed è questa l'unica legge irrinunciabile, quella da cui si generano tutte le altre, la sola condizione che l'universo deve osservare per poter essere. Per poter essere almeno concretamente e non nella maniera astratta della divinità che, per apparire inappuntabile da ogni lato, diventa tutto e il contrario di tutto, niente cioè. È sempre e solo il fatto di essere, il miracolo per il quale non si hanno spiegazioni.
La natura non obbedisce al caso, questo è vero: è governata da un'intelligenza. È l'intelligenza però frutto del caso, e questo è il grande smacco di un pensiero finalista come quello di Guitton.


67

L'ordine che comanda il cosmo è un'interpretazione, non un dato oggettivo. Guardiamo il cielo e vediamo astri disposti a triangolo, bilance e acquari. Ma il triangolo e tutto il resto sono dentro e non sopra la nostra testa. Siamo noi che stabiliamo relazioni proiettando nel mondo il riflesso della nostra anima.
Il meccanismo perfetto che regola la natura è prima di tutto lo specchio della nostra intelligenza. L'intelligenza che regge l'universo è cioè essenzialmente la nostra. Lo ricorda la teoria dei quanti quando afferma che il mondo si determina all'ultimo istante, quello dell'osservazione, e che, prima di allora, in senso stretto nulla è reale.


68

La creazione è la morte di Dio, l'attimo in cui la simmetria si spezza e l'infinito diventa finito, frastagliandosi in un mosaico di dettagli. La creazione è la morte di Dio. Non la testimonianza della sua esistenza.


69

In quale scatola è chiuso l'universo, e questa in quale altra è racchiusa? E prima del primo grano di materia cosa c'era?
Queste domande non mi avvicinano a Dio. Mi precipitano in un vuoto di risposte come in una spirale.


70

CALCOLO DELL'ULTIM'ORA:L'UNIVERSO ESISTE
DA 18 MILIARDI DI ANNI.
Non c'è così che iscriversi
in un solco;
nel gorgo che s'evolve,
in una ruga.


71

Ogni individuo è una visione del mondo, è lo sguardo che misura l'orizzonte e l'orizzonte misurato. Tanti sono gli universi quanti gli uomini sulla faccia della terra, universi che nascono e muoiono con noi. E lo stesso vale per gli animali, per le piante e per le pietre persino, in quel vuoto estremo di coscienza che è la loro staticità, dove la coincidenza tra il soggetto che percepisce e ciò che è percepito si posiziona sullo zero.
Perciò non c'è chi possa immaginare un mondo che prescinda da lui stesso, concepire la sua propria assenza.
Le altre creature esprimono il bisogno di esserci mobilitando ogni fibra del proprio essere, ogni energia, contro i pericoli che le minacciano, contro la possibilità della scomparsa.
A noi non basta; per scongiurare l'eclisse dobbiamo riconoscerci in un'entità più vasta -Dio, Natura, Cosmo, Ciclo naturale o quel che sia- che ci trascenda e in qualche maniera ci assimili e conservi, inattaccabili alla morte, al di là di noi.


72

Sono stati gli  uomini a rivelarmi la parola di Dio, ma era la loro parola, che io ero libero di prendere o lasciare.


73

Vate:
- Nulla finisce e nulla finirà, neanche il volo di una mosca passa inosservato sulla tela del mondo, tutto quel che accade lascia una traccia e fa sì che il disegno universale sia quello che è in ogni momento. Siamo immortali per l'impronta che lasciamo, iscritti in un cerchio che trascende il nostro tempo e la nostra dimensione e ci proietta nell'eterno. Questa è la verità, che passa inosservata quando la cerchiamo ad occhi aperti, ma, chiudendo gli occhi e sospendendo i sensi, ci sciogliamo dall'illusione della realtà sensibile e dietro le palpebre scopriamo l'infinito, al confine della coscienza, molto prossimo a noi, non in un concetto lontano ed astratto.
Scettico:
- Siamo linee del disegno universale, o punti nell'immensità della sua trama, ma lo spazio infinito che annota il mio passaggio in che modo assiste agli affanni che accumulo lungo il cammino, quello su cui io mangio, sogno, respiro ed amo?  

Chiudendo gli occhi e sospendendo i sensi, trovo ad attendermi le mie domande, che precipitano nella voragine del tutto, e il tutto mi macina e mi dimentica, facendo di me un essere unico e finito, immortale, certo, ma solo nel silenzio del mio oblio, con umiltà, e non in un trionfo d'angeli.